La linea di demarcazione fra l’esplorazione delle grotte fine a se stessa e quella fatta con intenti tecnici e scientifici può essere data nella speleologia regionale (come pure in quella nazionale) dalla nascita del Catasto Grotte. L’idea di raccogliere e catalogare tutte le cavità esplorate dagli uomini della Commissione Grotte della Società Alpina delle Giulie sorse già nel 1892 con la predisposizione e la successiva pubblicazione dell’elenco di grotte da loro visitate. Con l’arrivo di E. Boegan il Catasto prese forma e cominciò ad ingrandirsi passando dalle 22 cavità del 1892 alle 250 del 1900, alle 430 del 1915. Dopo la prima Guerra Mondiale il Catasto dell’Alpina divenne il Catasto ufficiale della Venezia Giulia, reso pubblico sia con la presentazione sulle riviste Alpi Giulie e Le Grotte d’Italia delle nuove grotte scoperte, sia con la stampa di ampie monografie (2000 Grotte nel 1926, Grotte della Venezia Giulia nel 1930, Il Timavo, 1938).
Dopo la seconda Guerra Mondiale i dati catastali delle nuove grotte via via scoperte sul Carso e nel Goriziano sono stati pubblicati a cura della “Boegan” dapprima sulla rivista Alpi Giulie (proseguendo una tradizione che risaliva alla fine dell’Ottocento), poi quali supplementi di Atti e Memorie ed infine nei Quaderni Catastali.
Negli anni ’60 la Legge regionale sulla Speleologia (L.R. 27/66) creò il Catasto Regionale delle Grotte, affidandone la gestione alla Società Alpina delle Giulie. Nel Catasto Regionale confluirono inizialmente i dati provenienti dal Catasto “storico” della CGEB (che vennero aggiornati) e poi i dati consegnati al Catasto Regionale dagli speleologi che man mano scoprivano e rilevavano nuove cavità nel Friuli Venezia Giulia.